La cosa che dovete fare è andre a votare per me:
QUI
Il fumetto AUM su cui vi ho tenuto aggiornati in passato è ora in lizza per il prmio STRIP AWARDS 2011 indetto dall acasa editrice belga Roularta, tramite l'inserto FOCUS.
Le prime quattro pagine del fumetto, con mia grande soddisfazione, sono state pubblicate (per quattro settimane al ritmo di una pagina alla settimana) sul settimanale Focus, si in lingua francese che in lingua Nederlandese.
Sinceramente disperavo di aver passato la selezione, e invece...
Il vero premio è quello della redazione, che da' la possibilità al vincitore di pubblicare un fumetto sul settimanale focus per un anno al ritmo di una pagina alla settimana...
Il premio dei lettori invece (quello per cui potete votare) credo che consista in una stretta di mano. Ma che diamine, vincere è bello!
A presto nuove!
Wednesday, 14 December 2011
Wednesday, 30 November 2011
Un sacco di cose (1 di 4)
Rieccomi.
Nel frattempo sono successe un sacco di cose.
La prima è Mina.
sia lei che sua mamma stanno bene ma è difficile adattarsi al cambiamento.
Ho vergognosamente dimenticato come erano le cose con Adam all'inizio, ricordo solo che una volta mi stavo disperando perché non riuscivo a calmarlo.
Non riesco a decidere come devo proseguire. Non mi va di lasciarmi andare a frasi sincere ma irrlilevanti per voialtri (e comunque, sì è bellissima, anche se quando fa gli occhi storti).
Mi piacerebbe far scrivere questo post ad Adam, sarebbe senz'altro più originale di me.
ccomunque anche lui sembra felice, no?
Questa foza della natura ci terrà occupati per un bel po', meno male che alcune cose le avevo già fatte prima. (continua)
Nel frattempo sono successe un sacco di cose.
La prima è Mina.
sia lei che sua mamma stanno bene ma è difficile adattarsi al cambiamento.
Ho vergognosamente dimenticato come erano le cose con Adam all'inizio, ricordo solo che una volta mi stavo disperando perché non riuscivo a calmarlo.
Non riesco a decidere come devo proseguire. Non mi va di lasciarmi andare a frasi sincere ma irrlilevanti per voialtri (e comunque, sì è bellissima, anche se quando fa gli occhi storti).
Mi piacerebbe far scrivere questo post ad Adam, sarebbe senz'altro più originale di me.
ccomunque anche lui sembra felice, no?
Questa foza della natura ci terrà occupati per un bel po', meno male che alcune cose le avevo già fatte prima. (continua)
Thursday, 27 October 2011
Sigà-sigà: il diario - 3
Eccomi di ritorno.
Ho finito la prima stesura delle primo capitolo.
Dovevano essere 15 pagine, speravo di poterlo condensare in 12 o 13, alla fine sono 25!
Ma ho una scusa: Sono 25 mezze pagine.
La questione è molto semplice: ho voluto attenermi per quanto possibile alla tecnica superbamente usata da Chuck Dixon suo Seven Block, ovvero: far corrispondere i cambi si scena con la fine di una pagina.
Il problema è che questo limite mal si sposava con il numero di vignette che certe sequenze richiedevano. Questo perché ho anche voluto fare mio il “credo” di Eisner per cui gli scambi di battuta all’interno di una vignetta devono essere limitati. Ci sono dei casi dove un botta e risposta di tre o quattro battute può essere condensato in una sola vignetta, specialmente in una storia lunga, per evitare improvvisi sbalzi di ritmo, ma il più delle volte non si dovrebbe fare.
Così mi sono trovato a infilare troppe vignette per pagina, una delle cose che come disegnatore detesto.
Certe scene che ho scritto, per quanto mi sono sforzato, non ho potuto asciugarle fino al numero necessario di battute per chiudere sempre a fin di pagina.
L’unica soluzione era riscrivere tutto da capo.
Lo so che Bill Sienkevitch può creare bellissime pagine da sedici (16!!) vignette, ma io non sono Bill Sinkevich (mai capito come si scrive) e poi qui sto cercando di usare un altro stile di narrazione, più vicino a Pratt, a Caniff o a… ehi! Caniff!
Le strisce!
Ma certo! Posso mettere le pagine in orizzontale.
Avevo cominciato a baloccare con l’idea del formato orizzontale per un motivo molto semplice. Credo che questo lavoro finirà sul Web. E gli schermi del computer sono orizzontali. Oh certo, oggi ci sono i tablet e gli smartphone, ma mentre questi possono possono essere girati in orizzontale o verticale a piacimento, gli schermi del computer sono fissi così.
Ho alcuni e-comics e detesto dover “scrollare” per leggere.
Ho osservato le pagine che stavo creando e mi sono accorto che quasi tutte potevano essere tagliate nel mezzo senza problemi (solo alcune richiedevano piccoli aggiustamenti, facilmente applicabili).
Oltretutto tagliando a metà e lavorando su formato orizzontale più piccolo, posso fare gli originali su fogli A4, con grosso risparmio sui prezzi di scansione!
A consolarmi arrivano anche Frank Miller e Will Eisner che nella loro conversazione parlano della necessità di saper sfidare il formato classico.
Il risultato è che adesso ogni pagina ha un numero agile di vignette.
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Tuesday, 18 October 2011
Sigà sigà
Mentre cerco di capire se voglio un iPhone e quale (magari per poter postare più frequentemente), torno sull'argomento dell'ultimo post.
Il proposito della pagina al giorno ovviamente non tiene, ma non me lo rimangio.
La sceneggiatura prosegue, di pagine in progress ne ho già 15 (che poi è il primo "batch" che voglio disegnare proporre in giro), i dialoghi sono più o meno a posto, ma solo tre pagine sono davvero finite.
Ma si prosegue.
Ci sono cose che mi vengono molto facili, come capire di quali immagini ho bisogno e in che ordine, più difficile è cercare di avere un solo scambio di battute per vignetta (e infatti a volte cono cotretto a metterne di più), senza creare sequenze lunghissime (io vorrei che ogni pagina fosse una scena).
Ho capito però che le "pause" (vignette mute dove il ritmo del dialogo o di uno scambio rallenta) sono da usare con parsimonia. Un po' come i primi piani per Kubrick. Ce ne saranno meno di qunto pensavo.
Le voci dei personaggi cominciano a formarsi nella mia testa. Non so se i dialoghi siano particolarmente riusciti ma ho capito che inserendo tensione o conflitto si scrivono molto più facilmente.
Alle volte sembra noioso sceneggiare per se stessi: perché indugiare nella descrizione in prosa di una vignetta che io stesso dovrò disegnare? Ma ho raccolto la sfida e cerco di di farlo in modo preciso ma mantenendo le parole al minimo, un po' come si dovrebbe fare nella sceneggiatura di un film. Come suggerisce Mystery Man, voglio anche evitare a tutti i costi di scrivere "Vediamo" o "Si vede". Trattandosi però una forma narrativa che richiede immagini statiche può diventare un bel rompicapo, specialmente quando la composizione (chi è in primo piano, chi sullo sfondo, chi di spalle) DEVE essere fatta in un certo modo.
Per ora mi riesce, spero che diventi automatico.
Il bel disegno in apertura viene dal Blog di Julian Totino Tedesco.
Thursday, 22 September 2011
Diario
Una pagina al giorno, diceva il grande Akira Kurosawa (che io però conosco pochissimo e che dovrei studiarmi) e in un anno avrete una sceneggiatura di 365 pagine.
Non si può controbattere ad un'argomentazione così valida.
Allora questo sarà il mio diario. Si dice che aiuti tenere un diario quando si lavora a qualcosa.
Se tutto procede come deve, tra due settimane avrò il primo blocco.
La prima pagina è stata facile. La avevo già. Nella mia testa è anche già disegnata, in buona parte. Aiuta il fatto che mezza di questa pagina è semplicemente un "master shot", ma poi seguono altre quattro vignette, quindi come media siamo a posto.
Sono contento di essere siuscito a mantenere i dialoghi al minimo (non sono neanche dialoghi, sono frasi). E credo che la chiusura sul primo piano rabbioso di un carabiniere prometta bene.
Ho ancora un dubbio sull'unica ddascalia. Vorrei toglierla. Potrei sostituirla con un balloon di pensiero, ma il problema rimane. Vorrei fare completamente a meno delle dida (e delle nuvole di pensiero) per poter giocare più col NON ESPLICITO (o SUBTEXT come dice il grande Mystery Man), ma alle volte sono così efficaci per fornire una specifica informazione al momento giusto che non vorrei inutilmente chiudermi in un angolo. Il fumetto è letteratura e la parola scritta in dida ha un altro peso della famosa "voce off".
Al momento di disegnare, pure nella semplificazione alla Toth/Canniff/Pratt, devo stare attento che alcuni dettagli siano perfettamente chiari, come le tute o i cornetti, altrimenti non funziona.
Per il resto: Chiara M e Sergio N sono stati di grandissimo aiuto e grazie a loro mi sento di cominciare. Chiara mi ha messo un po' in difficoltà, ma non credo che la realtà delle redazioni ponga problemi alla storia, devo solo rivedere alcune delle mie idee ma la sostanza è intatta.
Sergio invece mi ha fatto capire che la mia idea per le tessere telefoniche regge senza problemi.
Poi va bé, mi ha raccontato del film Là-Bas e mi sono girate le palle.
Ancora un po' e anche un fumettista mi batterà sul tempo.
Cazzo.
Se non avete capito di che parlo, meglio. Comunque su quest pagina c'è poco da dire, è filata via liscia come l'olio.
Non si può controbattere ad un'argomentazione così valida.
Allora questo sarà il mio diario. Si dice che aiuti tenere un diario quando si lavora a qualcosa.
Se tutto procede come deve, tra due settimane avrò il primo blocco.
La prima pagina è stata facile. La avevo già. Nella mia testa è anche già disegnata, in buona parte. Aiuta il fatto che mezza di questa pagina è semplicemente un "master shot", ma poi seguono altre quattro vignette, quindi come media siamo a posto.
Sono contento di essere siuscito a mantenere i dialoghi al minimo (non sono neanche dialoghi, sono frasi). E credo che la chiusura sul primo piano rabbioso di un carabiniere prometta bene.
Ho ancora un dubbio sull'unica ddascalia. Vorrei toglierla. Potrei sostituirla con un balloon di pensiero, ma il problema rimane. Vorrei fare completamente a meno delle dida (e delle nuvole di pensiero) per poter giocare più col NON ESPLICITO (o SUBTEXT come dice il grande Mystery Man), ma alle volte sono così efficaci per fornire una specifica informazione al momento giusto che non vorrei inutilmente chiudermi in un angolo. Il fumetto è letteratura e la parola scritta in dida ha un altro peso della famosa "voce off".
Al momento di disegnare, pure nella semplificazione alla Toth/Canniff/Pratt, devo stare attento che alcuni dettagli siano perfettamente chiari, come le tute o i cornetti, altrimenti non funziona.
Per il resto: Chiara M e Sergio N sono stati di grandissimo aiuto e grazie a loro mi sento di cominciare. Chiara mi ha messo un po' in difficoltà, ma non credo che la realtà delle redazioni ponga problemi alla storia, devo solo rivedere alcune delle mie idee ma la sostanza è intatta.
Sergio invece mi ha fatto capire che la mia idea per le tessere telefoniche regge senza problemi.
Poi va bé, mi ha raccontato del film Là-Bas e mi sono girate le palle.
Ancora un po' e anche un fumettista mi batterà sul tempo.
Cazzo.
Se non avete capito di che parlo, meglio. Comunque su quest pagina c'è poco da dire, è filata via liscia come l'olio.
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Wednesday, 7 September 2011
Ben l'Oncle Soul
Mi permetto di portare all’attenzione dei miei lettori (cioé nessuno) questo disco del 2010 dell’artista francese Ben l’Oncle Soul.
Forse non l’ho mai confessato apertamente a nessuno, ma sono un grande ammiratore della musica Soul. Non a caso The Blues Brothers e the Commitments sono tra i miei film preferiti, e potreste regalarmi qualsiasi cosa uscita per la Stax, la Motown o la Atlantic negli anni '60 e non sbagliereste.
Eppure nell’ondata "motown revival" che ha seguito il successo della buonanima di Amy Winehouse, questo disco è forse una delle poche che mi sento di salvare davvero.
Sia inteso, non sono né un esperto di musica né tantomeno un ascoltatore avidissimo di pop, quindi questo revival può aver fornito di fatto validissime prove di cantanti o gruppi che mi sono perso, ma se devo basarmi su quello che passano le radio commerciali, allora penso di avere ragione.
Il disco (prodotto dalla filiale francese della celeberrima Motown, non di meno) è piuttosto generoso, ben 16 brani.
Canzoni in inglese si alternano a pezzi in francese, dando al disco un gusto sufficentemente eclettico anche se, con l’esclusione della cover di Seven Nation Army (brano che ha portato questo Artista all’attenzione del grande pubblico la scorsa estate) il disco sembra uscito direttamente dagli anni ’60(divertente anche il design interno e il look dei video, assolutemente vintage)
C’è dentro un po’ di tutto: dai Temtation a Sam Cooke, passando per Otis Redding e il sound della Stax. L’esecuzione dei numerosi musicisti è impeccabile, ma a brillare è soprattutto il cantante Benjamin Duterde, soave ed insieme energico al punto giusto, capace di interessanti modulazioni senza cadere nella facile trappola dei gorgheggi fini a se stessi.
Posto questo brano Petite Soeur, che me lo ha fatto scoprire e spinto a comprare il CD, consigliatissimo.
Forse non l’ho mai confessato apertamente a nessuno, ma sono un grande ammiratore della musica Soul. Non a caso The Blues Brothers e the Commitments sono tra i miei film preferiti, e potreste regalarmi qualsiasi cosa uscita per la Stax, la Motown o la Atlantic negli anni '60 e non sbagliereste.
Eppure nell’ondata "motown revival" che ha seguito il successo della buonanima di Amy Winehouse, questo disco è forse una delle poche che mi sento di salvare davvero.
Sia inteso, non sono né un esperto di musica né tantomeno un ascoltatore avidissimo di pop, quindi questo revival può aver fornito di fatto validissime prove di cantanti o gruppi che mi sono perso, ma se devo basarmi su quello che passano le radio commerciali, allora penso di avere ragione.
Il disco (prodotto dalla filiale francese della celeberrima Motown, non di meno) è piuttosto generoso, ben 16 brani.
Canzoni in inglese si alternano a pezzi in francese, dando al disco un gusto sufficentemente eclettico anche se, con l’esclusione della cover di Seven Nation Army (brano che ha portato questo Artista all’attenzione del grande pubblico la scorsa estate) il disco sembra uscito direttamente dagli anni ’60(divertente anche il design interno e il look dei video, assolutemente vintage)
C’è dentro un po’ di tutto: dai Temtation a Sam Cooke, passando per Otis Redding e il sound della Stax. L’esecuzione dei numerosi musicisti è impeccabile, ma a brillare è soprattutto il cantante Benjamin Duterde, soave ed insieme energico al punto giusto, capace di interessanti modulazioni senza cadere nella facile trappola dei gorgheggi fini a se stessi.
Posto questo brano Petite Soeur, che me lo ha fatto scoprire e spinto a comprare il CD, consigliatissimo.
Monday, 5 September 2011
Michela Da Sacco: Alex Toth aveva ragione
Michela Da Sacco: Alex Toth aveva ragione: "Elimina quello che è superfluo e non necessario (BE LAZY)" "Rendi tutto credibile" "Impara come una cosa è costruita e non avrai difficol...
Thursday, 18 August 2011
La sindrome del Milanese
Sono settimane piene di attività.
Ne faccio un breve elenco:
• Preparare due fumetti per due diversi concorsi (fortunatamente avevo del materiale pronto, ma non finito)
• Arredare la camera della piccola in arrivo
• Proseguire il fumetto Prof. Lasson vs. de Weerwolf (titolo provvisorio) con Vitalski
• Preparare una lista di domande e poi porle a diversi consulenti per il progetto “O”
• Produrre alcuni disegni per il progetto Caligari di Fulvio Vanacore.
Ognuna di queste voci richiede che poi io faccia una serie di cose all’atto pratico.
Il mio libro di bozzetti è pieno di scarabocchi che dovrebbero aiutarmi, di fatto ho una mappa mentale di tutto quello che devo fare, il problema è la mancanza di tempo. Ma proprio Fulvio mi metteva in guardia contro la sindrome del Milanese. Si tratta di quello stato di occupazione cronica per cui si continua a dire a tutti che si hanno troppe (o comunque tantissime) cose da fare e che non ci si può mai fermare. Chi sviluppa questo atteggiamento rischia poi nei fatti di combinare poco o niente.
Fulvio non criticava chi ha tante cose da fare, ma chi usa questa nuvola di impegni come schermo per non dover mai fornire alcun risultato. Vuoi fare tante cose? Benissimo, falle! Ma poi non venire a raccontarci che ne hai troppe. A dire il vero credo che Fulvio intendesse (anche) qualcos’altro.
Secondo lui il Milanese con la sindrome in realtà ci gode ad essere sempre così indaffarato. Come se la sua identità fosse solida in proporzione con il numero di impegni sulla propria agenda. C’e una significativa differenza tra l’essere operosi e l’essere oberati.
Quindi faccio voto di essere operoso e di proseguire contento per la mia strada…
Ne faccio un breve elenco:
• Preparare due fumetti per due diversi concorsi (fortunatamente avevo del materiale pronto, ma non finito)
• Arredare la camera della piccola in arrivo
• Proseguire il fumetto Prof. Lasson vs. de Weerwolf (titolo provvisorio) con Vitalski
• Preparare una lista di domande e poi porle a diversi consulenti per il progetto “O”
• Produrre alcuni disegni per il progetto Caligari di Fulvio Vanacore.
Ognuna di queste voci richiede che poi io faccia una serie di cose all’atto pratico.
Il mio libro di bozzetti è pieno di scarabocchi che dovrebbero aiutarmi, di fatto ho una mappa mentale di tutto quello che devo fare, il problema è la mancanza di tempo. Ma proprio Fulvio mi metteva in guardia contro la sindrome del Milanese. Si tratta di quello stato di occupazione cronica per cui si continua a dire a tutti che si hanno troppe (o comunque tantissime) cose da fare e che non ci si può mai fermare. Chi sviluppa questo atteggiamento rischia poi nei fatti di combinare poco o niente.
Fulvio non criticava chi ha tante cose da fare, ma chi usa questa nuvola di impegni come schermo per non dover mai fornire alcun risultato. Vuoi fare tante cose? Benissimo, falle! Ma poi non venire a raccontarci che ne hai troppe. A dire il vero credo che Fulvio intendesse (anche) qualcos’altro.
Secondo lui il Milanese con la sindrome in realtà ci gode ad essere sempre così indaffarato. Come se la sua identità fosse solida in proporzione con il numero di impegni sulla propria agenda. C’e una significativa differenza tra l’essere operosi e l’essere oberati.
Quindi faccio voto di essere operoso e di proseguire contento per la mia strada…
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Tuesday, 26 April 2011
Friday, 15 April 2011
Ma quanto è bravo mio cugino
Cliccando sul titolo del post potete trovare un bel racconto poliziottesco di mio cugino Edoardo, che non pago delle sue molte qualità ("e suona pure 'o pianoforte" direbbe Troisi) si è messo a fare lo scrittore e gli riesce che è una bellezza.
Mi sa che lo scritturo...
Mi sa che lo scritturo...
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Monday, 28 March 2011
La risposta
Caro Gianmaria,
hai il diritto e il dovere di scrivere una storia che ti sta a cuore,
quando lo fai con rispetto e umiltà e per dare una mano. Non ci sono
problemi, l'errore è quando si vuole favorire il proprio ego sul
sangue e il dolore degli altri. Quindi non importa dove sei nato e
dove vivi. Se studi il problema lo senti tuo lo fai tuo ci butti il
sangue per dare luce ad una storia, devi farlo! Tutto qua.
Quando le storie diventano noi ecco il problema, ma se mettiamo il
nostro lavoro la nostra bravura a disposizione delle storie sei sulla
strada.
Anche il fatto che ti poni questi interrogativi dimostrano che stai
sulla strada giusta. Quindi vai avanti e tienimi aggiornato.
Un abbraccio
Sergio
hai il diritto e il dovere di scrivere una storia che ti sta a cuore,
quando lo fai con rispetto e umiltà e per dare una mano. Non ci sono
problemi, l'errore è quando si vuole favorire il proprio ego sul
sangue e il dolore degli altri. Quindi non importa dove sei nato e
dove vivi. Se studi il problema lo senti tuo lo fai tuo ci butti il
sangue per dare luce ad una storia, devi farlo! Tutto qua.
Quando le storie diventano noi ecco il problema, ma se mettiamo il
nostro lavoro la nostra bravura a disposizione delle storie sei sulla
strada.
Anche il fatto che ti poni questi interrogativi dimostrano che stai
sulla strada giusta. Quindi vai avanti e tienimi aggiornato.
Un abbraccio
Sergio
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Sergio Nazzaro
Thursday, 24 March 2011
Lettera a Sergio Nazzaro
Caro Sergio,
Sto leggendo in questi giorni “Io , per fortuna c’ho la camorra” (MafiAfrica mi aspetta dopo) Sono appena a metà. Mi sta piacendo molto.
Ma ho un problema. Una domanda che mi ha assillato, che ho cercato di reprimere e che tu nel libro mi risbatti in faccia.
Come ti spiegavo nella prima mail, sto lavorando ad una storia a fumetti (assieme ad un altro autore): la storia di un ragazzino nigeriano e di quello che avviene quando arriva in Italia.
Non vuole essere una denuncia o para-giornalismo ma vogliamo ritrarre in modo credibile lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, la malavita africana insediata in Italia, la nostra malavita (anche se preferisco chiamarle economie criminali).
Sono due anni che conservo articoli di giornale, che raccolgo da youtube tutti i reportages o filmati che possono essere d’aiuto, che colleziono libri.
Continuo però a chiedermi: ma io ho il diritto di raccontare questa storia?
Sono nato e cresciuto a Milano. E anche se il mio era uno dei famosi quartieri dormitorio (l’orrendo Gratosoglio) che conosce il disagio, lo spaccio e l’abbandono, la mia famiglia mi ha tenuto sempre al sicuro da qualsiasi struscio con la “parte brutta del quartiere”.
Adesso vivo in un sonnacchioso paesino in Belgio.
Chi sono io per mettermi a scrivere e disegnare della raccolta di pomodori o arance, di Castel Volturno, delle discariche illegali, delle prostitute nigeriane, del traffico e dello spaccio di droga?
David Simon ha fatto il bellissimo The Wire (aridaje) dopo aver lavorato per dieci anni come cronista di nera in una delle città più violente degli Stati Uniti, dopo aver passato un anno “embedded” nella squadra omicidi di Baltimora e un altro anno a conoscere ed esplorare una singola piazza di spaccio.
Tu, da Mondragone, scrivi impietoso:
Parlare di Camorra senza vivere sul territorio è quanto di peggio possa fare l’informazione. Alla televisione il solito folklore del ragazzino in moto senza casco, la terribile parlata dialettale che non spiega niente, l’inquadratura di un palazzo grigio. Il solito lenzuolo bagnato di sangue. Qualche grande penna del giornalismo che scrive il suo diario dal fronte, per poi vivere comodamente a Roma o altrove.
Sì, ho contattato giornalisti, poliziotti o ex-prostitute. Spero di ricevere ancora suggerimenti per capire di che parlo ma io non sono né un giornalista né uno scrittore.
Come ne vengo fuori?
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Sergio Nazzaro
Wednesday, 16 March 2011
Varieté Underground
Nel mio sogno di questa notte c'era un teatro strano.
Un carrozzone, una specie di carovana come quelle del circo. Una donna con l'aspetto di una zingara gira il continente con la sua strana compagnia di attrici.
Sembrano manichini, ma sono donne in carne ed ossa. Alcune sono calve, ad altre un braccio o una gamba; ad alcune tutti gli arti. Hanno la pelle strana, tumida, che sembra plastica, altre sembrano reduci dall'ennesima operazione di chirurgia plastica. Ci sono persino delle teste senza corpo.
Ma tutte sono vive e hanno sentimenti veri.
Viaggiano ammassate nei rimorchi di alcuni camion.
Questa assurda compagnia di giro arriva e stanzia spesso accanto a campi nomadi o in altri luoghi bui dove è possibile accordarsi col padrone.
Montano il loro palcoscenico traballante, le loro vecchie quinte ammuffite e appendono drappi di velluto o di stoffa sintetica a fare da sipario.
Aspiranti drammaturghi, registi, perfomer, artisti o attori possono rivolgersi alla zingara, che copre la testa e le spalle con uno scialle nero come le popolane est-europee stereotipate in un film di vampiri (difficile dire quanti anni ha).
A fronte di una cifra ridicola (una manciata di euro) la proprietaria ti fa scegliere una delle sue donne-manichino: puoi provare con lei una scena, un numero musicale o qualsiasi altro tipo di performance, (dal cabaret alla body art) e la sera, all'ora dello spettacolo, andare in scena sul palco polveroso del teatrino. Basta limitarsi ad una durata di 15 minuti.
Alla zingara non importa cosa fai con l'attrice. E infatti nel buio dell'accampamento, nel labirintico dietro le quinte fatto con pannelli di trucciolato illuminati da poche lampadine a incandescenza, non sono pochi ad abusare semplicemente delle attrici andandosene prima che cominci lo show.
Le attrici non si lamentano, non si ribellano.
Alcuni non le violentano nel buio promiscuo dei camerini (se possiamo chiamarli così) ma aspettano di essere di scena per consumare la violenza.
Per questo non manca mai pubblico che però, oltre ai depravati, vede mischiarsi scapigliati, reietti, talent-scout, critici ed artisti affermati, più o meno nella stessa proprzione in cui si mischiano tra i performers.
Per molti alcuni questo spazio scenico a buon mercato, questo varieté underground è l'unico modo per debuttare.
E le donne-manichino, chiamate da tutti le "bambole" sono forse le performers migliori del mondo: capaci di imparare una scena dopo una sola lettura e recitarla come meglio non si potrebbe.
Nel mio sogno, la mia era l'ultima piéce della serata. Avevo paura del palcoscenico. Temevo sia per la bontà del testo che avevo scritto sia per la mia recitazione. Ed era la mia "bambola", Katrina che, coi suoi occhi dolcissimi, rassicurava ME: tutto sarebbe andato bene.
---------------
Poi mi sveglio e mi chiedo come potrebbe proseguire questa storia.
---------------
Io (un giovane aspirante drammaturgo) torno ogni sera al varieté (fin tanto che si trova in città) per mettere in scena il mio dramma quindici minuti alla volta.
Ma la vulnerabilità di Katrina é una tentazione troppo forte. La possiedo.
Il mio talento però viene notato, permettendomi di lasciare alle spalle questo mondo sotterraneo per calcare scene via via sempre più rispettabili. Ma l'ossessione per Katrina, la bambola dagli occhi dolci che non mi hanno odiato nemmeno mentre la violentavo, non mi lascia.
Voglio ritrovare la carovana e ci riusco.
Mi nascondo nel rimorchio con le donne-manichino.
C'è un incidente: mentre tento una fuga per non essere scoperto dalla zingara mi ferisco gravemente a una gamba.
La fuga fallisce: la donna mi scopre. Mi offre le sue cure. Anestesia.
Mi risveglio e scopro di non avere più la gamba. E non solo. Sono stato evirato.
Ma non sono cacciato.
Nei giorni che seguono la mia pelle comincia a farsi tumida.
Ormai vivo con le bambole.
Sono con la mia Katrina.
Ma una viene scelta da un ragazzo per il suo numero. Temo che la voglia violentare. O forse sono solo geloso.
Mi trucco, metto una parrucca e un arto artificiale con il tacco alto.
Mi offrirò al posto di Katrina
Il ragazzo accetta lo scambio.
Il ragazzo assomiglia molto a come ero io prima.
È un aspirante attore in cerca di pubblico. Per i suoi quindici minuti ha scelto un pezzo da un mio dramma.
Il ragazzo ha paura ma io lo rassicurerò: tutto andrà bene.
E mentre mi avvio verso il palco, ormai bambola io stesso, nel labirintico dietro le quinte fatto di pannelli di tricciolato illuminati da poche lampadine a incandescenza, mi accorgo di quante bambole nascondano, sotto il trucco pesante, dei chiari lineamenti maschili.
Fine.
Un carrozzone, una specie di carovana come quelle del circo. Una donna con l'aspetto di una zingara gira il continente con la sua strana compagnia di attrici.
Sembrano manichini, ma sono donne in carne ed ossa. Alcune sono calve, ad altre un braccio o una gamba; ad alcune tutti gli arti. Hanno la pelle strana, tumida, che sembra plastica, altre sembrano reduci dall'ennesima operazione di chirurgia plastica. Ci sono persino delle teste senza corpo.
Ma tutte sono vive e hanno sentimenti veri.
Viaggiano ammassate nei rimorchi di alcuni camion.
Questa assurda compagnia di giro arriva e stanzia spesso accanto a campi nomadi o in altri luoghi bui dove è possibile accordarsi col padrone.
Montano il loro palcoscenico traballante, le loro vecchie quinte ammuffite e appendono drappi di velluto o di stoffa sintetica a fare da sipario.
Aspiranti drammaturghi, registi, perfomer, artisti o attori possono rivolgersi alla zingara, che copre la testa e le spalle con uno scialle nero come le popolane est-europee stereotipate in un film di vampiri (difficile dire quanti anni ha).
A fronte di una cifra ridicola (una manciata di euro) la proprietaria ti fa scegliere una delle sue donne-manichino: puoi provare con lei una scena, un numero musicale o qualsiasi altro tipo di performance, (dal cabaret alla body art) e la sera, all'ora dello spettacolo, andare in scena sul palco polveroso del teatrino. Basta limitarsi ad una durata di 15 minuti.
Alla zingara non importa cosa fai con l'attrice. E infatti nel buio dell'accampamento, nel labirintico dietro le quinte fatto con pannelli di trucciolato illuminati da poche lampadine a incandescenza, non sono pochi ad abusare semplicemente delle attrici andandosene prima che cominci lo show.
Le attrici non si lamentano, non si ribellano.
Alcuni non le violentano nel buio promiscuo dei camerini (se possiamo chiamarli così) ma aspettano di essere di scena per consumare la violenza.
Per questo non manca mai pubblico che però, oltre ai depravati, vede mischiarsi scapigliati, reietti, talent-scout, critici ed artisti affermati, più o meno nella stessa proprzione in cui si mischiano tra i performers.
Per molti alcuni questo spazio scenico a buon mercato, questo varieté underground è l'unico modo per debuttare.
E le donne-manichino, chiamate da tutti le "bambole" sono forse le performers migliori del mondo: capaci di imparare una scena dopo una sola lettura e recitarla come meglio non si potrebbe.
Nel mio sogno, la mia era l'ultima piéce della serata. Avevo paura del palcoscenico. Temevo sia per la bontà del testo che avevo scritto sia per la mia recitazione. Ed era la mia "bambola", Katrina che, coi suoi occhi dolcissimi, rassicurava ME: tutto sarebbe andato bene.
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Poi mi sveglio e mi chiedo come potrebbe proseguire questa storia.
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Io (un giovane aspirante drammaturgo) torno ogni sera al varieté (fin tanto che si trova in città) per mettere in scena il mio dramma quindici minuti alla volta.
Ma la vulnerabilità di Katrina é una tentazione troppo forte. La possiedo.
Il mio talento però viene notato, permettendomi di lasciare alle spalle questo mondo sotterraneo per calcare scene via via sempre più rispettabili. Ma l'ossessione per Katrina, la bambola dagli occhi dolci che non mi hanno odiato nemmeno mentre la violentavo, non mi lascia.
Voglio ritrovare la carovana e ci riusco.
Mi nascondo nel rimorchio con le donne-manichino.
C'è un incidente: mentre tento una fuga per non essere scoperto dalla zingara mi ferisco gravemente a una gamba.
La fuga fallisce: la donna mi scopre. Mi offre le sue cure. Anestesia.
Mi risveglio e scopro di non avere più la gamba. E non solo. Sono stato evirato.
Ma non sono cacciato.
Nei giorni che seguono la mia pelle comincia a farsi tumida.
Ormai vivo con le bambole.
Sono con la mia Katrina.
Ma una viene scelta da un ragazzo per il suo numero. Temo che la voglia violentare. O forse sono solo geloso.
Mi trucco, metto una parrucca e un arto artificiale con il tacco alto.
Mi offrirò al posto di Katrina
Il ragazzo accetta lo scambio.
Il ragazzo assomiglia molto a come ero io prima.
È un aspirante attore in cerca di pubblico. Per i suoi quindici minuti ha scelto un pezzo da un mio dramma.
Il ragazzo ha paura ma io lo rassicurerò: tutto andrà bene.
E mentre mi avvio verso il palco, ormai bambola io stesso, nel labirintico dietro le quinte fatto di pannelli di tricciolato illuminati da poche lampadine a incandescenza, mi accorgo di quante bambole nascondano, sotto il trucco pesante, dei chiari lineamenti maschili.
Fine.
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sogno
Thursday, 3 March 2011
Thursday, 17 February 2011
Cose che ho scoperto oggi
1) Adam RIDE di notte. Mi ha quasi inquietato, sulle prime.
2) So fare le doccie scure. E non è una bella cosa.
2) So fare le doccie scure. E non è una bella cosa.
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