Thursday, 24 March 2011
Lettera a Sergio Nazzaro
Caro Sergio,
Sto leggendo in questi giorni “Io , per fortuna c’ho la camorra” (MafiAfrica mi aspetta dopo) Sono appena a metà. Mi sta piacendo molto.
Ma ho un problema. Una domanda che mi ha assillato, che ho cercato di reprimere e che tu nel libro mi risbatti in faccia.
Come ti spiegavo nella prima mail, sto lavorando ad una storia a fumetti (assieme ad un altro autore): la storia di un ragazzino nigeriano e di quello che avviene quando arriva in Italia.
Non vuole essere una denuncia o para-giornalismo ma vogliamo ritrarre in modo credibile lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, la malavita africana insediata in Italia, la nostra malavita (anche se preferisco chiamarle economie criminali).
Sono due anni che conservo articoli di giornale, che raccolgo da youtube tutti i reportages o filmati che possono essere d’aiuto, che colleziono libri.
Continuo però a chiedermi: ma io ho il diritto di raccontare questa storia?
Sono nato e cresciuto a Milano. E anche se il mio era uno dei famosi quartieri dormitorio (l’orrendo Gratosoglio) che conosce il disagio, lo spaccio e l’abbandono, la mia famiglia mi ha tenuto sempre al sicuro da qualsiasi struscio con la “parte brutta del quartiere”.
Adesso vivo in un sonnacchioso paesino in Belgio.
Chi sono io per mettermi a scrivere e disegnare della raccolta di pomodori o arance, di Castel Volturno, delle discariche illegali, delle prostitute nigeriane, del traffico e dello spaccio di droga?
David Simon ha fatto il bellissimo The Wire (aridaje) dopo aver lavorato per dieci anni come cronista di nera in una delle città più violente degli Stati Uniti, dopo aver passato un anno “embedded” nella squadra omicidi di Baltimora e un altro anno a conoscere ed esplorare una singola piazza di spaccio.
Tu, da Mondragone, scrivi impietoso:
Parlare di Camorra senza vivere sul territorio è quanto di peggio possa fare l’informazione. Alla televisione il solito folklore del ragazzino in moto senza casco, la terribile parlata dialettale che non spiega niente, l’inquadratura di un palazzo grigio. Il solito lenzuolo bagnato di sangue. Qualche grande penna del giornalismo che scrive il suo diario dal fronte, per poi vivere comodamente a Roma o altrove.
Sì, ho contattato giornalisti, poliziotti o ex-prostitute. Spero di ricevere ancora suggerimenti per capire di che parlo ma io non sono né un giornalista né uno scrittore.
Come ne vengo fuori?
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Sergio Nazzaro
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