Il problema quando si scrive una sceneggiatura a fumetti è sapere come tradurre un plot o una situazione in una sequenza di immagini fisse (con l'aggiunta o meno del dialogo).
E un'arte invisibile.
Quando il "decoupage", lo "smontaggio" di un'azione o di una sequenza è fatto bene, non si nota e si lascia leggere che è un piacere. Quando è fatto male la lettura diventa difficile e si é quasi tentati di mettere giù il fumetto.
Quando ci si cimenta in un soggetto per una storia lunga, si finisce per riagionare da scrittore di prosa. Si pensa alla struttura, ai personaggi, si lavora sul lungo termine, salvo poi impazzire cercando ci capire come "far stare" le proprie idee in un numero limitato di pagine o vignette (seppure il fumetto possieda una grandissima capacità di sintesi).
Per questo motivo sarebbe cosa buona fare rodaggio su storie brevi, in modo che ci si possa concentrare su ogni dettaglio che contribuisce al racconto senza perdere la visione d'insieme, proprio in virtù delle ridotte dimensioni narrative
È essenziale imparare a ragionare per immagini.
Tempo fa ho partecipato a un workshop con Serge, che aveva escogitato (o ricopiato da qualcuno) un esercizio formidabile. Bisognava prendere un foglio, piegarlo in 8 e disegnare all'interno dei riquadri creati dalle piegature la propria giornata fino a quel momento. In questo modo, senza doversi preoccupare del soggetto, si cominciava a riagionare per immagini.
Ok, oggi, mi sono svegliato, ho fatto colazione, mi sono vestito, etc.
Si imparano due cose importanti in questo modo:
1) a scegliere un'immagine che ben racconta il momento. L'atto di svegliarsi è bene illustrato da una sveglia che suona o da una persona seduta sul letto che si stiracchia, mentre non lo è da un disegno di una persona nel letto semplicemente con gli occhi aperti.
2) Gli otto riquadri devono riflettere il tempo in qualche modo, e se la mia giornata l'ho passata principalmente in ufficio, ad esempio, devo essere in grado di trovare più vignette che raccontino la mia giornata in ufficio (anche se monotona). Insomma si impara a gestire il tempo.
La seconda parte dell'esercizio era ancora più interessante, bisognava scegliere due vignette consecutive tra quelle disegnate e su un nuovo foglio piegato in otto, disegnare cosa è avventuo TRA QUELLE DUE VIGNETTE. Così che oltre a imparare a gestire il tempo si comincia a ragionare su come gli eventi sono strutturati. Cause ed effetti. Come si può enfatizzare il dettaglio e la sfumatura. Allo stesso modo si capisce quando certe vignette sono inutili.
L'esercizio potrebbe procedere quasi all'infinito, arrivando a spezzettare in otto vignette azioni molto ravvicinate tra loro (quasi come se si facesse animazione).
Non solo: partendo dalle immagini create nel proprio esercizio si possono fare degli esperimenti, giustapponendo liberamente i disegni. Si scopre allora che l'aggiunta o meno di un dettaglio può fare l'assoluta differenza: suggerire pathos oppure produrre effetti comici per sottrazione.
Sono reduce dall rilettura di una sceneggiatura (piuttosto lunga) di un intero capitolo per un nuovo fumetto e mi sono accordo di aver scritto intere scene SENZA fare questi ragionamenti, ma piuttosto scrivendo il dialogo per poi spezzettarlo in diverse vignette. Anche ammettendo di essere dei bravi dialoghisti (e io non lo sono), non è il modo di procedere.
Certo, se sei Bendis te lo puoi permettere e cavartela comunque (si veda il suo Jinx), na bisognerebbe fare il decoupage prima, come se il fumetto fosse muto.
Il dialogo deve adattarsi alla sequenza come un guanto, punteggiare, ritmare la narrazione, ma non dominarla.
Anche quando la qualità del dialogo fa la differenza, il fumetto non è prosa con dei disegni messi lì a sostituire le parti descrittive tra i dialoghi (o, per usare un espressione che ho imparato da Umberto Eco, "l'istanza
dell'enunciazione").
Il fumetto è piuttosto narrazione visiva che si avvantaggia dell'uso dei testi per creare effetti drammatici.
Ovviamente questo non è un incoraggiamento a scrivere dialoghi poco memorabili.
Uno dei motivi per cui i fumetti sono stati spesso bistrattati è stata la mancanza di ambizione letteraria nel medium. Quando ben scritti (penso ad esempio a Moore e Gaiman) alcuni brani di dialogo o didascalia sono come grandi monologhi teatrali, o brani di musica per il cinema: capaci di sopravvivere benissimo al di fuori del loro contesto di origine.
Ma la scrittura del fumetto deve partire dalle immagini.
E un'arte invisibile.
Quando il "decoupage", lo "smontaggio" di un'azione o di una sequenza è fatto bene, non si nota e si lascia leggere che è un piacere. Quando è fatto male la lettura diventa difficile e si é quasi tentati di mettere giù il fumetto.
Quando ci si cimenta in un soggetto per una storia lunga, si finisce per riagionare da scrittore di prosa. Si pensa alla struttura, ai personaggi, si lavora sul lungo termine, salvo poi impazzire cercando ci capire come "far stare" le proprie idee in un numero limitato di pagine o vignette (seppure il fumetto possieda una grandissima capacità di sintesi).
Per questo motivo sarebbe cosa buona fare rodaggio su storie brevi, in modo che ci si possa concentrare su ogni dettaglio che contribuisce al racconto senza perdere la visione d'insieme, proprio in virtù delle ridotte dimensioni narrative
È essenziale imparare a ragionare per immagini.
Tempo fa ho partecipato a un workshop con Serge, che aveva escogitato (o ricopiato da qualcuno) un esercizio formidabile. Bisognava prendere un foglio, piegarlo in 8 e disegnare all'interno dei riquadri creati dalle piegature la propria giornata fino a quel momento. In questo modo, senza doversi preoccupare del soggetto, si cominciava a riagionare per immagini.
Ok, oggi, mi sono svegliato, ho fatto colazione, mi sono vestito, etc.
Si imparano due cose importanti in questo modo:
1) a scegliere un'immagine che ben racconta il momento. L'atto di svegliarsi è bene illustrato da una sveglia che suona o da una persona seduta sul letto che si stiracchia, mentre non lo è da un disegno di una persona nel letto semplicemente con gli occhi aperti.
2) Gli otto riquadri devono riflettere il tempo in qualche modo, e se la mia giornata l'ho passata principalmente in ufficio, ad esempio, devo essere in grado di trovare più vignette che raccontino la mia giornata in ufficio (anche se monotona). Insomma si impara a gestire il tempo.
La seconda parte dell'esercizio era ancora più interessante, bisognava scegliere due vignette consecutive tra quelle disegnate e su un nuovo foglio piegato in otto, disegnare cosa è avventuo TRA QUELLE DUE VIGNETTE. Così che oltre a imparare a gestire il tempo si comincia a ragionare su come gli eventi sono strutturati. Cause ed effetti. Come si può enfatizzare il dettaglio e la sfumatura. Allo stesso modo si capisce quando certe vignette sono inutili.
L'esercizio potrebbe procedere quasi all'infinito, arrivando a spezzettare in otto vignette azioni molto ravvicinate tra loro (quasi come se si facesse animazione).
Non solo: partendo dalle immagini create nel proprio esercizio si possono fare degli esperimenti, giustapponendo liberamente i disegni. Si scopre allora che l'aggiunta o meno di un dettaglio può fare l'assoluta differenza: suggerire pathos oppure produrre effetti comici per sottrazione.
Sono reduce dall rilettura di una sceneggiatura (piuttosto lunga) di un intero capitolo per un nuovo fumetto e mi sono accordo di aver scritto intere scene SENZA fare questi ragionamenti, ma piuttosto scrivendo il dialogo per poi spezzettarlo in diverse vignette. Anche ammettendo di essere dei bravi dialoghisti (e io non lo sono), non è il modo di procedere.
Certo, se sei Bendis te lo puoi permettere e cavartela comunque (si veda il suo Jinx), na bisognerebbe fare il decoupage prima, come se il fumetto fosse muto.
Il dialogo deve adattarsi alla sequenza come un guanto, punteggiare, ritmare la narrazione, ma non dominarla.
Anche quando la qualità del dialogo fa la differenza, il fumetto non è prosa con dei disegni messi lì a sostituire le parti descrittive tra i dialoghi (o, per usare un espressione che ho imparato da Umberto Eco, "l'istanza
dell'enunciazione").
Il fumetto è piuttosto narrazione visiva che si avvantaggia dell'uso dei testi per creare effetti drammatici.
Ovviamente questo non è un incoraggiamento a scrivere dialoghi poco memorabili.
Uno dei motivi per cui i fumetti sono stati spesso bistrattati è stata la mancanza di ambizione letteraria nel medium. Quando ben scritti (penso ad esempio a Moore e Gaiman) alcuni brani di dialogo o didascalia sono come grandi monologhi teatrali, o brani di musica per il cinema: capaci di sopravvivere benissimo al di fuori del loro contesto di origine.
Ma la scrittura del fumetto deve partire dalle immagini.
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