Monday, 28 March 2011

La risposta

Caro Gianmaria,
hai il diritto e il dovere di scrivere una storia che ti sta a cuore,
quando lo fai con rispetto e umiltà e per dare una mano. Non ci sono
problemi, l'errore è quando si vuole favorire il proprio ego sul
sangue e il dolore degli altri. Quindi non importa dove sei nato e
dove vivi. Se studi il problema lo senti tuo lo fai tuo ci butti il
sangue per dare luce ad una storia, devi farlo! Tutto qua.
Quando le storie diventano noi ecco il problema, ma se mettiamo il
nostro lavoro la nostra bravura a disposizione delle storie sei sulla
strada.
Anche il fatto che ti poni questi interrogativi dimostrano che stai
sulla strada giusta. Quindi vai avanti e tienimi aggiornato.
Un abbraccio

Sergio

Thursday, 24 March 2011

Lettera a Sergio Nazzaro


Caro Sergio,
Sto leggendo in questi giorni “Io , per fortuna c’ho la camorra” (MafiAfrica mi aspetta dopo) Sono appena a metà. Mi sta piacendo molto.
Ma ho un problema. Una domanda che mi ha assillato, che ho cercato di reprimere e che tu nel libro mi risbatti in faccia.
Come ti spiegavo nella prima mail, sto lavorando ad una storia a fumetti (assieme ad un altro autore): la storia di un ragazzino nigeriano e di quello che avviene quando arriva in Italia.
Non vuole essere una denuncia o para-giornalismo ma vogliamo ritrarre in modo credibile lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, la malavita africana insediata in Italia, la nostra malavita (anche se preferisco chiamarle economie criminali).
Sono due anni che conservo articoli di giornale, che raccolgo da youtube tutti i reportages o filmati che possono essere d’aiuto, che colleziono libri.
Continuo però a chiedermi: ma io ho il diritto di raccontare questa storia?
Sono nato e cresciuto a Milano. E anche se il mio era uno dei famosi quartieri dormitorio (l’orrendo Gratosoglio) che conosce il disagio, lo spaccio e l’abbandono, la mia famiglia mi ha tenuto sempre al sicuro da qualsiasi struscio con la “parte brutta del quartiere”.
Adesso vivo in un sonnacchioso paesino in Belgio.
Chi sono io per mettermi a scrivere e disegnare della raccolta di pomodori o arance, di Castel Volturno, delle discariche illegali, delle prostitute nigeriane, del traffico e dello spaccio di droga?
David Simon ha fatto il bellissimo The Wire (aridaje) dopo aver lavorato per dieci anni come cronista di nera in una delle città più violente degli Stati Uniti, dopo aver passato un anno “embedded” nella squadra omicidi di Baltimora e un altro anno a conoscere ed esplorare una singola piazza di spaccio.
Tu, da Mondragone, scrivi impietoso:

Parlare di Camorra senza vivere sul territorio è quanto di peggio possa fare l’informazione. Alla televisione il solito folklore del ragazzino in moto senza casco, la terribile parlata dialettale che non spiega niente, l’inquadratura di un palazzo grigio. Il solito lenzuolo bagnato di sangue. Qualche grande penna del giornalismo che scrive il suo diario dal fronte, per poi vivere comodamente a Roma o altrove.

Sì, ho contattato giornalisti, poliziotti o ex-prostitute. Spero di ricevere ancora suggerimenti per capire di che parlo ma io non sono né un giornalista né uno scrittore.
Come ne vengo fuori?

Wednesday, 16 March 2011

Varieté Underground

Nel mio sogno di questa notte c'era un teatro strano.

Un carrozzone, una specie di carovana come quelle del circo. Una donna con l'aspetto di una zingara gira il continente con la sua strana compagnia di attrici.
Sembrano manichini, ma sono donne in carne ed ossa. Alcune sono calve, ad altre un braccio o una gamba; ad alcune tutti gli arti. Hanno la pelle strana, tumida, che sembra plastica, altre sembrano reduci dall'ennesima operazione di chirurgia plastica. Ci sono persino delle teste senza corpo.
Ma tutte sono vive e hanno sentimenti veri.

Viaggiano ammassate nei rimorchi di alcuni camion.

Questa assurda compagnia di giro arriva e stanzia spesso accanto a campi nomadi o in altri luoghi bui dove è possibile accordarsi col padrone.

Montano il loro palcoscenico traballante, le loro vecchie quinte ammuffite e appendono drappi di velluto o di stoffa sintetica a fare da sipario.

Aspiranti drammaturghi, registi, perfomer, artisti o attori possono rivolgersi alla zingara, che copre la testa e le spalle con uno scialle nero come le popolane est-europee stereotipate in un film di vampiri (difficile dire quanti anni ha).

A fronte di una cifra ridicola (una manciata di euro) la proprietaria ti fa scegliere una delle sue donne-manichino: puoi provare con lei una scena, un numero musicale o qualsiasi altro tipo di performance, (dal cabaret alla body art) e la sera, all'ora dello spettacolo, andare in scena sul palco polveroso del teatrino. Basta limitarsi ad una durata di 15 minuti.


Alla zingara non importa cosa fai con l'attrice. E infatti nel buio dell'accampamento, nel labirintico dietro le quinte fatto con pannelli di trucciolato illuminati da poche lampadine a incandescenza, non sono pochi ad abusare semplicemente delle attrici andandosene prima che cominci lo show.

Le attrici non si lamentano, non si ribellano.

Alcuni non le violentano nel buio promiscuo dei camerini (se possiamo chiamarli così) ma aspettano di essere di scena per consumare la violenza.
Per questo non manca mai pubblico che però, oltre ai depravati, vede mischiarsi scapigliati, reietti, talent-scout, critici ed artisti affermati, più o meno nella stessa proprzione in cui si mischiano tra i performers.
Per molti alcuni questo spazio scenico a buon mercato, questo varieté underground è l'unico modo per debuttare.

E le donne-manichino, chiamate da tutti le "bambole" sono forse le performers migliori del mondo: capaci di imparare una scena dopo una sola lettura e recitarla come meglio non si potrebbe.

Nel mio sogno, la mia era l'ultima piéce della serata. Avevo paura del palcoscenico. Temevo sia per la bontà del testo che avevo scritto sia per la mia recitazione. Ed era la mia "bambola", Katrina che, coi suoi occhi dolcissimi, rassicurava ME: tutto sarebbe andato bene.
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Poi mi sveglio e mi chiedo come potrebbe proseguire questa storia.
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Io (un giovane aspirante drammaturgo) torno ogni sera al varieté (fin tanto che si trova in città) per mettere in scena il mio dramma quindici minuti alla volta.
Ma la vulnerabilità di Katrina é una tentazione troppo forte. La possiedo.

Il mio talento però viene notato, permettendomi di lasciare alle spalle questo mondo sotterraneo per calcare scene via via sempre più rispettabili. Ma l'ossessione per Katrina, la bambola dagli occhi dolci che non mi hanno odiato nemmeno mentre la violentavo, non mi lascia.
Voglio ritrovare la carovana e ci riusco.
Mi nascondo nel rimorchio con le donne-manichino.
C'è un incidente: mentre tento una fuga per non essere scoperto dalla zingara mi ferisco gravemente a una gamba.
La fuga fallisce: la donna mi scopre. Mi offre le sue cure. Anestesia.
Mi risveglio e scopro di non avere più la gamba. E non solo. Sono stato evirato.
Ma non sono cacciato.

Nei giorni che seguono la mia pelle comincia a farsi tumida.

Ormai vivo con le bambole.
Sono con la mia Katrina.
Ma una viene scelta da un ragazzo per il suo numero. Temo che la voglia violentare. O forse sono solo geloso.
Mi trucco, metto una parrucca e un arto artificiale con il tacco alto.
Mi offrirò al posto di Katrina

Il ragazzo accetta lo scambio.
Il ragazzo assomiglia molto a come ero io prima.
È un aspirante attore in cerca di pubblico. Per i suoi quindici minuti ha scelto un pezzo da un mio dramma.
Il ragazzo ha paura ma io lo rassicurerò: tutto andrà bene.

E mentre mi avvio verso il palco, ormai bambola io stesso, nel labirintico dietro le quinte fatto di pannelli di tricciolato illuminati da poche lampadine a incandescenza, mi accorgo di quante bambole nascondano, sotto il trucco pesante, dei chiari lineamenti maschili.

Fine.

Thursday, 3 March 2011